La Sezione d'italiano UNIL tiene particolarmente al dialogo tra studenti e il corpo insegnante. Una ricca serie di eventi e occasioni favoriscono l'affiatamento della Sezione, dai viaggi culturali organizzati dagli studenti con il contributo della Sezione all’attività teatrale, dal dialogo virtuale nelle pagine aperte in Facebook, Twitter e Instagram fino alla "notte del racconto": una rete di rapporti che si aggiunge a quella costruita da ex allievi ed ex docenti della Sezione, attivi nella scuola e nel giornalismo, nell’università e nelle organizzazioni culturali della Svizzera e dell’Europa.
La notte del racconto
Ogni anno, verso Natale, le studentesse e gli studenti della Sezione organizzano l'appuntamento più atteso della stagione. Le letture di studenti, professori e amici della Sezione animano una serata dall'atmosfera cordiale e incantata. Racconti, poesie, canzoni, scritti degli studenti, insieme a un ricco banchetto per l'aperitivo-cena contribuiscono al successo di questa ormai tradizionale serata.
La grigliata di Sezione
L'arrivo della bella stagione invoglia studenti e docenti a organizzare insieme una grigliata di Sezione, non lontano dal campus, condividendo cibo e bevande, idee e momenti di divertimento, consolidando il senso di appartenenza e lo spirito di gruppo.
Il torneo di Sezione
Ogni anno viene anche organizzato un torneo polisportivo (calcio, pallavolo, basket) denominato G.I.O.S.T.R.A. (Giochi Illustri Organizzati dagli Studenti Riuniti Amichevolmente), che permette a squadre di studenti, dottorandi e professori di misurarsi in campo e di condividere una bella giornata tra sport e convivialità.
I viaggi di studio
I viaggi di studio alla scoperta delle meravigliose città italiane e del loro patrimonio artistico e culturale sono un appuntamento fisso della Sezione, che ogni anno organizza una o più gite. Ecco alcuni dei viaggi passati.
Venezia 2024
Bologna-Ferrara 2018
Roma 2017
Napoli 2016
Firenze 2015
Torino 2014
Bologna 2013
Alberto Roncaccia, Time out/Out of time: mostra di fotografie analogiche
a cura di A. Roncaccia e F. Diaco
L’intermittenza di un gesto
Alberto Roncaccia
Fotografare è un gesto intermittente, o, meglio, l’intermittenza di un gesto. Realizzato con dispositivi meccanici a pellicola, ricorda il tiro con l’arco. Ma è qui il “bersaglio” a muoversi verso chi prende la mira, imprimendosi fisicamente su microscopici granelli fotosensibili. Caricare un dispositivo meccanico, metterlo in tensione, valutare distanze e luci, riconoscere il soggetto, ridelimitarne lo spazio, vedere l’immagine mentalmente prima di rilasciare il meccanismo, non sapere che in un secondo momento quale ne sia il risultato: questa è l’esperienza dell’analogico. Meno il dispositivo è intelligente, meno è smart, e più estremo può essere l’esito: fare centro, sbagliare completamente, ottenere a sorpresa qualcosa di non previsto. La compagnia materiale di una macchina fotografica spinge ad esercitare una vista seconda, a vedere almeno due volte le cose, i luoghi e le persone che incontriamo; anche se poi non si scatta nulla. A seconda dell’apparecchio e della pellicola, si (pre)vede in modo diverso, secondo uno spettro di foto-visibilità più o meno vasto. È un esercizio da equilibristi. La concentrazione e la naturalezza necessarie richiedono la mobilitazione di energie e di zone profonde della nostra psiche. Non sappiamo a volte perché abbiamo scattato una certa foto, sappiamo solo che per qualche ragione o impulso l’abbiamo fatto. Le foto non pianificate – per quanto pensate – sono quelle che maggiormente riconducono a interrogativi essenziali. Il raggiungimento o almeno la fortunosa approssimazione a questa essenzialità ci porta fuori dal flusso quotidiano, ci permette di isolare e di riconoscere qualcosa che altrimenti non avremmo visto.
Ringrazio Francesco Diaco per l’idea di trovare una stanzetta virtuale (in una diramazione per fortuna non troppo frequentata) dove affiggere alcuni miei scatti da lui selezionati. Sono fotografie còlte perlopiù nei pressi o sui bordi dell’arco lemanico, con apparecchi argentici di provenienze temporali diverse, sviluppate e scansionate domesticamente. Solo una di queste foto è stata scattata in formato elettronico, per quanto utilizzando un vecchio obiettivo quadragenario. Le pulviscolari impurità a volte presenti sulle immagini, oltre ad attestare il dilettantismo artigianale dell’esercizio, valgano come briciole segnaletiche del percorso.
Vota le quattro foto da stampare e appendere nel corridoio di sezione!
“Mistero a bordo lago”: su Time-out/Out of time di Alberto Roncaccia
Francesco Diaco
Il titolo di questa mostra virtuale – nata per caso, anche come reazione al lungo isolamento a cui ci ha costretto la pandemia – suggerisce di riflettere sulle relazioni tra spazio e tempo nell’arte fotografica. Come si sa, la fotografia è imparentata tanto con l’epochè husserliana, con la messa tra parentesi del mondo, quanto col tema della fissazione “eterna” di ciò che non è più. Roncaccia, nella sua breve nota introduttiva, propone – con implicito richiamo a Herrigel – un paragone col tiro con l’arco; similmente, anni fa, un mio insegnante di pianoforte accostava il clic del dito sulla macchina a quello dello stesso dito sulla tastiera: sono gesti rapidi, puntuali, e irreversibili, compiuti una volta per sempre. La similitudine pianistica, in più, ci fa capire come la vera espressività non sia mai un’effusione ingenua, diretta, trasparente, bensì necessiti di mediazioni e consapevolezza, di filtri e contraintes tecniche.
Ma torniamo al titolo: il time-out è la sospensione, almeno per un attimo, della routine e della fatica dell’esistere. Se l’arte, in occidente, si è spesso pensata come extra-località, «situazione della finestra» o «naufragio con spettatore», cioè come distacco contemplativo e riflessivo sulla vita, le fotografie di Roncaccia sono un time-out anzitutto per la loro gratuità di momenti interstiziali, di scatti rubati a latere del vivere quotidiano. Nella bipartizione del titolo, però, troviamo anche la locuzione – riccamente polisemica – out of time: è la sensazione di chi, sentendosi fuori tempo massimo, deve concentrarsi sull’essenziale. Ma out of time implica anche una intimazione di distacco dal proprio presente storico e dalla propria contingenza; suggerisce, inoltre, l’impressione di entrare – grazie alle foto – in un cronotopo limbico-liminare in cui al passato vintage del rigattiere si giustappone un futuro rugginoso e blandamente post-apocalittico. Infine, traducendo il titolo in italiano, si potrebbe aggiungere che il fuori tempo è sia un’allusione al precario incanto dell’imprevisto, sia un’espressione musicale che indica l’imperizia (o, al contrario, l’estremo virtuosismo) di chi non segue il ritmo stabilito, di chi si inserisce negli anfratti delle sincopi e del levare.
Non è un caso, allora, che Roncaccia sia scherzosamente incuriosito dalle ucronie dello steampunk e che si occupi, come studioso, delle innovazioni stilistico-epistemologiche del Modernismo. Allo stesso modo, il suo interesse per i paesaggi alpini della letteratura ticinese, bucolici ma spesso minacciati da lutti e catastrofi, sembra in qualche modo accostabile agli idilli incrinati delle sue foto, in cui intravediamo una Svizzera ossimorica, pacifica e perfetta benché/perché sottilmente distopica. Il percorso propostoci, d’altronde, si svolge prevalentemente intorno al lago Lemano, che è un soggetto di grande bellezza naturalistica e di nobile tradizione figurativa, dal pittoresco e dal sublime dei quadri sette-ottocenteschi fino alle rappresentazioni contemporanee. Tuttavia, Roncaccia evita le vedute più celebri e spettacolari della Riviera; si sofferma, al contrario, su scorci meno noti, su particolari dimessi, velati talvolta da una malinconia atmosferica, da un senso di solitudine e abbandono. In questo modo, il lago e le città (che hanno qualcosa di primo-novecentesco, alla Eugène Atget), il «posto di lavoro» e i fiori, gli edifici e i ritratti si alternano senza frizioni, in un flusso immaginativo da rêveries du promeneur solitaire. Il tratto unitario va, quindi, ricercato proprio nell’ambivalenza di tale sospensione, che da una parte è avvolgente e protettiva – come una sordina che attutisca i suoni e smorzi i conflitti più drammatici –, dall’altra è venata di elegia e attraversata da inquietudini mai del tutto rimosse.
Una possibile chiave di lettura di questa mostra è, a mio parere, quella dell’Unheimliche. Ci troviamo davanti a situazioni quotidiane, alle immagini consuete che ci accompagnano tutti giorni, accanto a casa o sul campus; subito, però, il rischio di un dimesso diarismo viene travalicato grazie a un’incongruenza perturbante, rappresentata – per esempio – dall’enigmatica presenza di cornici vuote, rami tentacolari, accessi negati. Alcune foto sembrano rimandare allegoricamente a significati ulteriori: a un passaggio verso il soprannaturale o il trascendente; alla lotta e alla complementarità tra ombra e luce, pesanteur e grâce; a scale dell’essere che legano la vastità del creato ai recessi della psiche. I realia, perciò, si trasformano in totem, si caricano di un’energia spirituale, di un mana che ne supera la concreta finitezza: sono oggetti sottratti alla mera datità, che manifestano parte dei loro segreti grazie all’imprimersi della luce sulla pellicola. Roncaccia, infatti, nel testo sopra riportato, adombra una concezione quasi fenomenologica della conoscenza, per cui sono le cose stesse a cercare una relazione, a esplodere-verso di noi.
Il risultato è un diffuso effetto di straniamento, sebbene Roncaccia non stravolga la visione, non deformi radicalmente il tratto: nella sua poetica figuratività e fascinazione onirica, realismo e surrealtà sono perfettamente bilanciati. A questo bisogna aggiungere – anche come decisiva correzione a queste mie stesse righe – il costante understatement e la forte cifra umoristico-desublimante che caratterizzano la postura di Alberto. Bastino pochi esempi: l’ironia e l’autoironia presenti in molte didascalie (Paesaggio con…anatra; Peu de monde à l’Anthropole; Tristia-nef); l’ammiccamento di La ragazza con la Canon, evidente parodia di un romanzo di Helena Janeczek; l’umiltà referenziale di una formula come Il giocoliere e il bambino, associata a una splendida foto che a me – deviato forse dal Ritratto dell’artista da saltimbanco di Starobinski – avrebbe ricordato addirittura certo Picasso, o i «ballerini e acrobati […] di cui sarà il mondo domani» di una lirica sereniana.
Ai paesaggi seguono alcuni ritratti, posti anch’essi all’insegna della sospensione, di uno stato di apparente assenza o distrazione che insieme cela e rivela un’acuta concentrazione interiore. Non si tratta solo di affettuosi omaggi, bensì di scavi psicologici, di discreti tentativi di cogliere l’emersione di un carattere, un’assiologia, un destino. Quelle espressioni, tipiche di chi è sovrappensiero o in attesa, paiono silenziosamente aspirare a una comunicazione più vera e completa, a una condivisione più profonda. Tutte le foto in bianco e nero denotano un’estrema pulizia compositiva, un raffinato equilibrio geometrico, un’armonia turbata talvolta da contrasti un po’ più rilevati. In virtù dell’ordinamento in climax ascendente creato a posteriori per questa occasione, irrompe, poi, il colore, che approda a gialli squillanti e solari, similmente a una cadenza piccarda che chiuda su un accordo maggiore una fuga bachiana di tonalità minore. Ed è qui, nel colore, che emerge più chiaramente l’aspetto sperimentale di Roncaccia, che paradossalmente affida alla materia, a processi almeno in parte naturali, la responsabilità degli esiti maggiormente anti-naturalistici e informali. Mi spiego: giocando con regolazioni “sbagliate”, utilizzando a volte macchine d’epoca e pellicole scadute, Roncaccia si espone al rischio del fallimento e al miracolo della riuscita, affidandosi a un’aleatorietà liberatrice, allo hasard che nessuno mai abolirà, alle ingovernabili metamorfosi della chimica e del vivente. Da questo laboratorio escono foto simili a quadri floreali; altre, per dir così, virate; altre ancora inconfondibilmente rétro. Se ne può dedurre, credo, un elogio dell’imperfezione, una valorizzazione dei segni che il tempo, la storia e le esperienze lasciano sui corpi e sugli oggetti.
Ci imbattiamo, così, in tulipani tenui come un pastello, assurti nella sereine ironie dell’éternel Azur, ma anche accecati dalla luce al punto da divenire spettrali, sull’orlo di una sparizione universale. In altra direzione, quasi Op art, va poi l’uso di un particolare effetto-ciambella che trasforma i riflessi del sole sul lago in un’elegante e disorientante astrazione, in cui anelli pulviscolari “in sospensione” danzano secondo un ipnotico moto browniano, sovrapponendo il microcosmo cellulare e biologico all’infinità astrale delle galassie. Si arriva, infine, al cigno in penultima posizione, dove l’understatement sopra menzionato spinge la didascalia verso la referenzialità, non riuscendo però a limitare la bellezza irradiante dell’immagine: infatti, non solo questo cygne è – come insegna Baudelaire – un emblema della debolezza e della gloria dell’arte, dell’esilio e dell’aspirazione alla patria, ma il fondo dorato in cui nuota, lungi dal ridursi al polline che ne è la causa materiale, rimanda a un mistico lago di luce, a una trasfigurazione da mosaico bizantino o da quadro Nabis. Per Roncaccia il referente diventa altro-da-sé, viene subito traslato in una dimensione à côté, prossima eppure abbastanza distante da permettere un parziale recupero di quell’aura che, per Benjamin, è sinonimo di lontananza, sguardo ricambiato, latenza di futuro. Pertanto ciò che è stato, il «ça-a-été» che la fotografia testimonia secondo Barthes, è qui del tutto indistinguibile da ciò che avrebbe potuto essere e da ciò che potrebbe ancora accadere, domani o dopodomani.
Quanto detto finora si trova, in qualche modo, compendiato nell’autoritratto conclusivo. Benché la trovata non sia originalissima, colpisce il vertiginoso moltiplicarsi di sguardi, lenti e superfici, per cui lo sguardo attraverso il quale l’intera narrazione è stata focalizzata decide di mettersi in scena, con gesto marcatamente meta-riflessivo. È uno sphragìs manierista e compiaciuto? La costruzione di un’identità e di una postura autoriali? In realtà, il soggetto ha scelto di riprendere sé stesso, nel tondo dello specchio, con la macchina fotografica in mano, per una ragione eminentemente pratica, così prosastica da sfiorare la comicità: per non dimenticare con quale apparecchio le foto sono state scattate. Roncaccia, difatti, adopera diverse fotocamere analogiche, alcune delle quali piuttosto rare e antiche: oggetti, a loro volta, auratici e misteriosi.
Siamo distantissimi, insomma, dalla rapidità iper-connessa, dalla facile standardizzazione del digitale, dall’uso dei social volto all’esibizionismo autopromozionale e a un espressivismo di massa 2.0. Anche Roncaccia, si obietterà, osa esporre i propri scatti e mostrarsi pubblicamente. La risposta è duplice: anzitutto, va ricordato che questa mostra è nata su mia amichevole insistenza, come versione online di un’iniziativa – ben più contenuta – che avevamo iniziato a progettare prima della pandemia, con l’intento di adoperare quattro cornici inutilizzate per trasformare in piccolo spazio espositivo il nostro spoglio corridoio di sezione. In secondo luogo, anche qui con un ossimoro, Roncaccia ha acconsentito a esporre le proprie foto solo a patto di collocarle in un luogo periferico del sito, in una penombra che rispecchia una schiva timidezza capace di aprirsi, al momento giusto, alla confidenza. Per di più, il luogo virtuale di questa mostra – un inaspettato intermezzo artistico incuneato tra bandi corsi orari tabelle convegni avvisi scadenze – ne duplica la genesi e la poetica.
In conclusione, credo si possa affermare che, per un amante della fotografia, individuare un soggetto interessante (al volo, di passaggio, o dopo un’attenta preparazione), inquadrare, decidere cosa tagliare e cosa mettere in primo piano, sviluppare, sono tutte azioni non solamente inerenti a un divertissement estetico, bensì rivelatrici di una gnoseologia, di uno stile di vita, persino di una Weltanschauung. Roncaccia ha dimostrato di saper scorgere la bellezza anche nel flou, nella miopia della sfocatura, e nell’impurità; con questa mostra, ci ha regalato una pausa di grande suggestione e un affascinante viaggio fuori dal tempo, brevi ma destinati a prolungarsi nella nostra durée interiore, alimentando emozioni, sogni, desideri di pienezza. Una passeggiata in un mistero a bordo lago, a due passi dai nostri appartamenti e dalle aule universitarie.
Tranches de livres
Atelier lettura 2019-2020: La Sezione di Italiano ha il piacere di invitare gli studenti (BA e MA) a cinque incontri di lettura e discussione su alcuni romanzi contemporanei (italiani e stranieri) scritti negli ultimi venticinque anni. Questi incontri non prevedono né esami né valutazioni, ma si propongono come momenti di confronto e dialogo in un'atmosfera amichevole e informale. Non si richiederanno quindi interventi individuali ampi e strutturati, bensì la libera condivisione delle riflessioni e dei piaceri suscitati dalla lettura comune di opere solitamente assenti dai nostri insegnamenti. I primi quattro incontri saranno dedicati ciascuno a un'opera già scelta; l'ultimo sarà dedicato a un'opera scelta dagli studenti. Gli incontri avranno luogo il martedì alle ore 18.30 all'Unithèque (brasserie) e prevederanno una cena collettiva seguita da una discussione della durata di circa un'ora e mezza. Gli studenti possono comunicare la propria adesione con un largo anticipo (tre-quattro settimane) inviando un'email a Francesco Diaco (francesco.diaco@unil.ch) e Gabriele Bucchi (gabriele.bucchi@unil.ch).
Opere:
29 ottobre: Jhumpa Lahiri, Dove mi trovo (it., 2018)
26 novembre: Annie Ernaux, Gli Anni (Les Années, fr.,2008)
24 marzo: Walter Siti, Troppi paradisi (it, 2006)
21 aprile: Kazuo Ishiguro, Non lasciarmi (Never let me go, eng., 2005)
Ultima opera scelta dagli studenti (19 maggio):
J. M. Coetzee, Vergogna, (eng., Disgrace, 1999)
Michael Cunningham, Le ore (eng. The Hours, 1998)
Winfried G. Sebald, Austerlitz, (ted., 2001)
Niccolò Ammaniti, Io non ho paura (it., 2001)
Don DeLillo, Cosmopolis (eng., 2003)
Nicola Lagioia, Riportando tutto a casa (it., 2009)
Michela Murgia, Abbacadora (it., 2009)
Zerocalcare, La profezia dell'armadillo (it, graphic novel, 2011)
Elena Ferrante, I giorni dell'abbandono (it.,2015)
Orhan Pamuk, La donna dai capelli rossi (Kirmizi Saçli Kadin, turco, 2016)
Conoscere l'opera lirica
Ogni anno le studentesse e gli studenti UNIl hanno l'opportunità di vedere i numerose rappresentazioni di opera lirica, in gran parte in italiano, in programma all'Opéra de Lausanne, a un prezzo fortemente scontato (5chf). Inoltre hanno la possibilità di seguire conferenze di approfondimento sulle opere in questione.
Maggiori informazioni su questa iniziativa
L'universitario
Giornale online della sezione: vita di campus, attualità, cultura, sport!
Smanie della riapertura - 2021
La congiuntura disforica del 2021 e la situazione sanitaria connessa sono lo sfondo delle Smanie della riapertura, scenette o intermezzi molto liberamente ispirati alle Smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni, senza però l’ambizione di amabile critica sociale del capolavoro goldoniano.
Testi di Gabriele Bucchi.
Smanie 1
Smanie 2
Smanie 3
Il laboratorio teatrale
Dal febbraio 2013, in via sperimentale, la Sezione d'italiano ha attivato un laboratorio teatrale destinato a tutti gli studenti interessati. Il laboratorio ha l'obiettivo di favorire lo sviluppo di competenze linguistiche e letterarie.
Si tratta di una novità assoluta per la Sezione, che risponde all'esigenza di dare un contributo dinamico alle attuali pratiche di insegnamento.
L'insospettata ferocia della cose - 2017
Locandina2-insospettata ferocia (3602 Ko)
Gli innamorati 2013-2014
La prima esperienza del Laboratorio Teatrale, attivata dal febbraio 2013 in via sperimentale, ha portato alla realizzazione dello spettacolo Gl'innamorati di Carlo Goldoni, che potete visionare in questa pagina nella rappresentazione del 6 novembre 2013 al Théâtre du Cazard di Losanna e del 30 aprile 2014 al Festival Fécule UNIL.
Il laboratorio aveva l'obiettivo di favorire lo sviluppo di competenze linguistiche e letterarie. Per questa iniziativa, abbiamo ottenuto la collaborazione di due attori professionisti, diplomati presso l'Accademia Italiana d'Arte Drammatica « Silvio D'Amico » e noti per le loro collaborazioni con importanti registi italiani (Ronconi, Lavia, Camilleri, etc.). Si tratta di Stefania Micheli e di Paolo Zuccari (www.stefaniamicheli.it ; Profilo di Paolo Zuccari www.teatroteatro.it ; Profilo di Paolo Zuccari www.nceitaliana.com ).
Al progetto, oltre al Prof. Alberto Roncaccia, hanno collaborato in particolare i colleghi : Gabriele Bucchi, Marino Fuchs, Annalisa Izzo. Ha collaborato anche Anna Maria Saba, insegnante di liceo con una lunga esperienza di laboratori teatrali realizzati con studenti.
Sperando di poter ripetere l'esperienza del Laboratorio Teatrale anche negli anni futuri, vi invitiamo a vedere la commedia sul nostro sito!